Pubblicato su politicadomani Num 86 - Dicembre 2008

Eutanasia neonatale e protocollo di Groningen

Le conoscenze che derivano dalla moderna tecnologia diagnostica in medicina prenatale sono altra cosa dal diritto della persona e il principio della non discriminazione

di Marta Pietrosi

Il 9 Marzo 2006 è stato pubblicato su “Il Foglio” un articolo riguardante l’eutanasia infantile, una pratica regolarmente attuata in Olanda. Nell’articolo G. Meotti (“L’Olanda ora vuole anche il primato dell’eutanasia infantile”, Il Foglio, 9 marzo 2006, pag. 3) definisce crudele tale pratica e la bolla come “attività nazista”. L’aggettivo ha sollevato lo sdegno dei governanti olandesi e l’evento ha prodotto anche nel nostro Paese diversi dibattiti.
L’eutanasia in età pediatrica non è una novità. La soppressione dei bambini è una pratica molto antica. Basti pensare ai sacrifici propiziatori di bambini in uso presso civiltà culturalmente avanzate, o alla consuetudine vigente a Sparta dove esisteva una vera e propria commissione di anziani che aveva il compito di esaminare i neonati: quelli che erano deboli o deformi venivano abbandonati a morire sul monte Taigeto.
Dal 2004 la questione dell’eutanasia pediatrica è presente nel dibattito pubblico, e non solo nei Paesi Bassi. In particolare, nel reparto di neonatologia del centro medico universitario di Groningen, è stato elaborato, insieme con il Pubblico Ministero del posto, il Protocollo per la soppressione attiva della vita di neonati affetti da grave malattia. Il cosiddetto Protocollo di Groningen, che è stato accettato come norma nazionale a cui rifarsi nel giugno 2005 dall’Associazione Olandese di Pediatria, è in vigore dal 2006. Esso non riguarda, però, solo i casi estremi: i suoi autori e promotori Eduard Verhagen e Pieter J.J. Saver, ambedue famosi pediatri, hanno classificato i “candidati alla soppressione” in tre ampie categorie:
- bambini che non hanno la possibilità di sopravvivere e che moriranno poco dopo la nascita (per es. a causa di ipoplasia dei polmoni o dei reni);
- bambini con una diagnosi negativa che sono dipendenti da una terapia intensiva (per gravi anomalie cerebrali o danni organici in conseguenza della mancanza di ossigeno). È il caso di quei bambini che potrebbero sopravvivere con una terapia intensiva, ma le cui prospettive sulle condizioni di vita futura sono sfavorevoli;
- bambini con una prognosi disperata che, secondo l’opinione dei genitori e dei medici, soffrono in modo insopportabile. È il caso di quei bambini che non hanno bisogno di una terapia intensiva, ma che si può prevedere avranno una qualità di vita ridotta, anche a seguito delle numerose operazioni a cui dovranno essere sottoposti. Secondo gli autori, un esempio è costituito dai bambini che hanno una grave forma di spina bifida, o di bambini che sono sopravvissuti ad una terapia intensiva.
La decisione del pediatra di porre fine della vita nelle prime due situazioni è considerata un normale intervento medico. Il Protocollo di Groningen provvede a regolamentare la terza condizione.
In Italia, il Comitato Nazionale per la Bioetica, pronunciandosi sul Protocollo di Groningen con la Mozione sull’assistenza a neonati e a bambini affetti da patologie o handicap ad altissima gravità e sull’eutanasia pediatrica (CNB, 28 gennaio 2005) ha affermato che, fatta salva la rinuncia ad ogni forma di accanimento terapeutico, ogni intervento intenzionalmente eutanasico, specie sui minori, è pratica eticamente illecita.
Nei casi di eutanasia pediatrica si chiama spesso in causa l’emergenza di una situazione, e si ritiene che esista a monte per il medico un conflitto tra doveri: il dovere di difendere la vita e quello di abbreviare o eliminare la sofferenza, trascurando, in quest’ultimo caso, la possibilità di ricorrere a cure palliative, che pure ci sono ed è dimostrato che sono valide. Tuttavia non viene messo abbastanza in evidenza il fatto che la scelta di porre termine alla vita, non si riduce solo ad una scelta compassionevole volta a porre termine ad una sofferenza, sia pure insopportabile, ma si traduce nella scelta deliberata di porre termine alla persona stessa che soffre. Con la conseguenza che il “valore vita” perde la sua qualità di essere valore intrinseco, valido cioè in quanto tale, e diventa un valore estrinseco, valido quindi solo in relazione ad altri valori e, pertanto, anche in contrapposizione con essi.
Un ulteriore problema è legato alla definizione di sofferenza e di sofferenza senza prospettiva e insopportabile; e un altro problema ancora è quello del il rapporto con la dipendenza dalle cure. Nel resoconto del 2005, Verhagen e Sauer, nei 22 casi di soppressione della vita di neonati, hanno giustificato la decisione con il fatto che i neonati che soffrivano di spina bifida con o senza idrocefalia (una condizione che, in realtà, secondo alcuni esperti nel campo, non è causa di sofferenze insopportabili).
Altro aspetto non trascurabile è il pertinente e problematico riferimento al principio di non-discriminazione. Infatti il non curare i neonati, o il porre termine alla loro vita qualora si riscontrino le condizioni che per norma consentono questa pratica, entrerebbe in contrasto con il divieto di discriminare, sulla base di un handicap, il diritto alle cure sanitarie e il diritto alla vita stessa. «La discussione su situazioni sempre nuove, in cui il porre fine alla vita di neonati rappresenta una soluzione, non è un sintomo che siamo scivolati notevolmente sul piano inclinato della negazione e di un attacco al principio intrinseco della vita umana? Aprendo il fronte di una discussione sulla soppressione della vita dei neonati, si è distrutta una barriera a protezione della dignità essenziale della vita umana: ad oggi si giustifica, in certe situazioni, non soltanto il porre termine alla vita su richiesta, ma anche il porre fine alla vita dell’interessato, senza che egli lo abbia richiesto», afferma W.J. Eijk, vescovo di Groningen e membro della Pontificia Accademia per la Vita, in Medicina e Morale, 2007/6, pg. 1184).

Per approfondire:
Medicina e Morale. Rivista internazionale di bioetica. Università Cattolica del S. Cuore Facoltà di Medicina e Chirurgia “Agostino Gemelli”, Roma, 2006/2 e 2007/6.
E. Sgreccia, Manuale di bioetica, Vol.I,Vita e Pensiero, 2003 Milano.
The Groningen Protocol - Euthanasia in Severely Ill Newborns, pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine. L’articolo è consultabile per intero su Medicina e Morale 2006/2 pp. 365-370.

 

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